26 Ottobre 2013

Lighting Bolt Pearl Jam

L’avevo quasi dimenticata…
La sensazione di calore della voce di Eddie Vedder.
Dopo “Backspacer” credevo nel possibile avvio dei Pearl Jam verso il “viale del tramonto”.
Con le esperienza da solista di Vedder in “Into the wild”, prima ancora di pubblicare “Backspacer” con i colleghi, e “Ukulele Songs”avevo pensato che il problema fosse legato al lavoro di squadra, perché sembrava che Vedder, nonostante un po’ diverso dal leader tutto grunge, fosse riuscito ad impacchettare raffinate ballate in compagnia di uno strumento da sempre “nelle sue corde”.
Allora lo ammetto, prevenuta, ma davvero fremente per gli anni di attesa, vado di iPod.
Ok…in passato quando tutti li smerdavano loro sputavano fuori brani come “I am mine”, o una spaventosa “Last kiss”, o anche robe tipo “Just breathe”…ed io pensavo “Non capite né capirete mai niente di musica se non siete in grado di apprezzare roba come questa”.
Quindi via pregiudizi, attese spasmodiche, perché i Pearl Jam sono sempre i Pearl Jam, e quando esce un loro album é inevitabile pensare che questi qua sono la storia del grunge, la cui punta di diamante era un biondino spaventato con delle scassatissime Chuck Taylor ai piedi, che di cognome faceva Cobain.
Allora vado di “play” e mi innamoro perdutamente di questo album. Al punto da non riuscire più a separarmene.
“Sirens”…Vedder é Dio in quel pezzo.
La chitarra di McCready che urla letteralmente.
E pezzoni di un sano vecchio stile del calibro di “Mind your manners”, passando per le sonorità ricercate e impalpabili di “Pendulum”, o la rivisitata, ma sempre stupenda “Sleeping by myself”. E si chiude con due chicche come “Yellow moon” e “Future days”.
Sono passati quattro anni dall’ultimo album…eterni per i seguaci del “Ten Club” (il fan club storico del gruppo). Questo é sicuramente uno dei loro migliori lavori, ma non il migliore. Il punto é che se parti con un primo album della levatura di “Ten” il paragone sarà inevitabile per il resto della carriera. Ma nonostante tutto, Vedder ammalia con le sue “Sirens”, con la sua voce ora graffiante come un leone che ruggisce, ora vellutata, pronta ad accarezzare con sonorità uniche.
I Pearl Jam consegnano un’altra pagina di storia, della storia di un genere che resta vivo molto più di altri.