Nel corso del tempo il sistema climatico della Terra è molto cambiato e in questi primi anni del XXI secolo si osserva un mutamento geografico e climatico di portata immensa: la superficie di un nuovo oceano si sta scoprendo davanti ai nostri occhi all’estremo Nord del Pianeta. A influenzare pesantemente tale processo è anche il bilancio dell’acqua dolce in mare, che coinvolge tutto il ciclo dell’acqua in Artico.
“Nella seconda parte del secolo scorso, ogni inverno, circa 3.000 km2 di acqua di mare superficiale si sono trasformati in ghiaccio marino, per poi tornare a essere acqua in estate” spiega Stefano Aliani dell’Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr di La Spezia. “Questo tipo di ghiaccio si somma a quello permanente pluriennale che costituisce la parte centrale della calotta artica. Quando il ghiaccio marino si fonde, le acque dell’oceano sono esposte alla radiazione solare ed essendo più scure rispetto a un mare coperto di ghiaccio marino bianco e riflettente, assorbono molta più energia termica dal sole. Le conseguenze si possono osservare dalla superficie fino all’alta atmosfera”.
L’aumento generalizzato della temperatura atmosferica osservato negli ultimi anni ha comportato anche un incremento della fusione dei ghiacci terrestri, tra i quali i più rilevanti sono senz’altro quelli della Groenlandia. Il contributo derivante dalla loro fusione va aggiunto alla stima della massa del ghiaccio e dell’acqua dolce.
Un ulteriore elemento da considerare è il contributo dei ghiacciai marini. “Essi hanno sia un’importante porzione che scorre in terra ed è sottoposta ai processi di fusione dipendenti dall’atmosfera e dagli attriti con il terreno, sia un fronte in contatto con il mare”, continua il ricercatore dell’Ismar-Cnr. “In acqua, i processi oceanografici e gli scambi di calore con l’oceano possono innescare instabilità e fusione del fronte, ossia del margine del ghiacciaio posto nella porzione più a valle, con rilascio di iceberg e conseguente apporto di acqua verso il largo”.
Il ruolo dei ghiacciai artici nel cambiamento climatico è estremamente importante, considerando quanto sono diffusi: nelle sole isole Svalbard coprono circa 36.600 km2. “Moltissimi di questi ghiacciai sono in regressione e stanno perdendo massa, contribuendo all’aumento del livello del mare”, precisa Aliani. “I ghiacciai del lato orientale delle Svalbard vengono lambiti da acque artiche molto fredde, che provengono dal mare di Barents, e sono meno soggetti a fusione, mentre quelli lungo la costa occidentale interagiscono con una corrente calda generata nel Golfo del Messico che prende il nome di West Spitzbergen Current e che, in particolari condizioni, può entrare all’interno dei fiordi, portando a contatto con i ghiacciai marini acqua salata e calda (circa 5 °C e al 5 per 1.000 di salinità). Questo avviene soprattutto in quei fiordi in cui il fondale, non presentando una soglia morenica all’entrata, non oppone ostacoli allo scambio della Wsc tra interno ed esterno del fiordo”.
A condurre studi su queste fenomeni è la Base artica italiana Dirigibile Italia, dedicata alla ricerca scientifica e gestita dal Cnr. “Dirigibile Italia si trova nella cittadina di Ny Alesund sul fiordo Kongsfjorden, a 78°55’N e 11°56’E lungo la costa occidentale delle Svalbard”, prosegue il ricercatore. “Qui è operativo un sito permanente osservativo di strumenti oceanografici autonomi, immerso a 100 m di profondità di fronte ai ghiacciai marini, dove si misurano sia i flussi dell’acqua di fusione dei ghiacciai dal fiordo verso l’oceano artico, sia l’ingresso in profondità dell’acqua più calda e più salata dell’oceano verso i ghiacciai. Alla struttura si affianca la Admundsen-Nobile Climate Change Tower che effettua misure in atmosfera e il laboratorio di Gruvenbadet che misura l’inquinamento”.
Le attività della Base artica finalizzate a comprendere il ciclo dell’acqua in Artico e le sue conseguenze sul clima dell’emisfero, sono effettuate nell’ambito del progetto premiale Arca, coordinato dal Cnr e al quale partecipano anche l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e l’Istituto nazionale di geofisica e di oceanografia sperimentale.
Gabriella Esposito
Fonte: Stefano Aliani , Istituto di scienze marine, Pozzuolo di Lerici