13 Dicembre 2021

THE PLACE VS PERFETTI SCONOSCIUTI

THE PLACE VS PERFETTI SCONOSCIUTI

 

In un bar romano, otto persone si incontrano ciclicamente con un uomo misterioso che è in grado di esaudire i loro desideri. In cambio però, viene richiesto loro di svolgere dei compiti ardui che vanno contro i basilari principi di etica e morale, come commettere uno stupro o uccidere una bambina. Sono queste le premesse semplici e basilari di The Place, il nuovo film di Paolo Genovese che ha riscosso un grande successo di critica e pubblico.

La pellicola rappresenta l’adattamento cinematografico della serie televisiva americana The Booth at the End e ha una struttura narrativa che somiglia molto a quella del pluripremiato Perfetti Sconosciuti: dal precedente successo del regista romano, The Place ha infatti ereditato quel gioco di incastri e intrecci che caratterizza le due sceneggiature.

In entrambi i film, Genovese ambienta le scene in uno spazio circoscritto, ponendo così l’attenzione sulle performance dei numerosi protagonisti e facendo affidamento , in assenza di una fotografia importante, sulla qualità dei dialoghi. In tal senso la somiglianza fra i due cast rappresenta una conseguenza evidente di ciò. Va però tenuto conto anche delle evidenti differenze che informano il parallelismo fra i due lavori. Mentre Perfetti Sconosciuti possiede una forma dinamica che è propria dei lavori tragicomici, The Place sorge e tramonta in forma drammatica.

 

Il contenuto stesso del primo grande successo di Genovese riprende tematiche “terrene” che ripercorre attraverso un sapiente gioco degli equivoci fatti di corna sgamate tra amici-amanti. In tal senso, il Velo di Maya che veniva strappato ripercorreva il tema pirandelliano delle maschere, basato su quanto poco conosciamo le persone che ci sono vicine.

Viceversa The Place esplora contenuti più rarefatti e astratti, come il conflitto fra morale ed egoismo. A tal proposito, i protagonisti che desiderano qualcosa sono chiamati a mettersi brutalmente in gioco per ottenere quello che vogliono. In questo senso l’ultima fatica di Paolo Genovese ci ricorda quanto poco conosciamo noi stessi.

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