16 Novembre 2012

Le ragioni della permanente crisi di fiducia nel sistema istituzionale dell’euro.

Il sistema istituzionale dell’ Eurozona soffre ormai di una grave crisi di fiducia da parte dei mercati finanziari a causa delle scelte di politica monetaria messe in campo dalla Banca Centrale Europea (BCE) che spesso non ha operato a salvaguardia della stabilità economica dei diciassette Stati Membri che compongono l’Unione Monetaria Europea (UEM). Per tentare di spiegare le inefficienze del sistema UEM è pertanto necessario ragionare su due aspetti in particolare.
In primo luogo l’UEM ha dimostrato di non essere un’area valutaria ottimale come la teoria economica  aveva già asserito: la perdita dello strumento del tasso di cambio con la creazione dell’euro ha impedito che i Paesi Membri ricorressero alle svalutazioni competitive tipiche degli Anni’80 per diminuire il prezzo delle proprie merci nazionali. Il caso greco è esemplificativo: la Grecia è entrata nell’ UEM due anni dopo l’Italia, con un problema non risolto di competitività delle proprie merci nazionali sui mercati esteri poiché la dracma era sopravvalutata. Non potendosi più avvalere del tasso di cambio, la Grecia ha cominciato ad esportare sempre meno e ad importare sempre di più, creandosi così le premesse per l’attuale gigantesco livello di indebitamento del Paese nei confronti sia dei maggiori intermediari finanziari europei sia delle istituzioni economiche internazionali. Se la Grecia fosse rimasta in cambi flessibili avrebbe potuto operare una svalutazione del tasso di cambio nominale ogni qualvolta si fosse verificato un deficit della bilancia commerciale ma ciò non è potuto avvenire essendo nel contesto di un’area valutaria ed il Paese ha così continuato per anni ad indebitarsi per pagare le sue importazioni. Le misure di austerità che ora le vengono imposte hanno lo scopo precipuo di deprezzare il tasso di cambio reale ovvero di ridurre il livello dei prezzi interni ma ciò significa tagliare i salari, le pensioni e tutte le risorse per il sistema sociale complessivamente considerato. La popolazione civile è vessata drammaticamente e le immagini delle rivolte per le strade di Atene testimoniano la rabbia di un Paese lasciato impunemente sull’orlo della disperazione. Per la Grecia oggi si tratta di una crisi sociale di colossali dimensioni esacerbata dal diktat della troika (per esteso Commissione, BCE e Fondo Monetario Internazionale).
In secondo luogo alla base del malfunzionamento del sistema è la decisione che risale alla firma del Trattato di Maastricht nel 1992 di centralizzare la politica monetaria e di lasciare deputata ai governi nazionali ogni scelta di politica fiscale. Considerando il contesto attuale, dal momento che l’UEM ormai è una realtà irreversibile, sarebbe opportuno implementarla perchè i soli strumenti monetari di cui sono a disposizione i suoi maggiori attori istituzionali, la BCE in particolar modo, si sono rivelati di fatto inadeguati nella gestione della crisi del debito sovrano dei Paesi periferici dell’area( Grecia e Spagna soprattutto). Una soluzione auspicabile è pertanto una maggiore cooperazione tra istituzioni monetarie e fiscali , volta alla creazione di un’unione fiscale. Nell’attuale scenario UEM ,infatti, la credibilità dell’architettura istituzionale è minata dal perenne dissidio tra la BCE del governatore Draghi e ,dall’altra parte, i governi nazionali. È in corso quello che la teoria economica chiama ‘game of chicken’ ovvero ogni decisione della Banca di Francoforte rimanda sempre all’assunzione di scelte da parte dei singoli esecutivi nazionali che, a loro volta, invocano un intervento della prima, tra cui , in extrema ratio, il cosiddetto ‘grande bazooka’ ovvero l’acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato primario, o almeno il suo annuncio, che tranquillizzerebbe gli operatori economici sulla rischiosità del rimborso del debito, portando così ad una diminuzione dei differenziali inflazionistici tra bunds tedeschi e titoli dei Paesi periferici (lo spread ). L’assenza attuale di cooperazione tra politica fiscale e monetaria è riflessa nel funzionamento dell’ European Financial Stability Facility (EFSF). Questo fondo salva-Stati è un fondo dell’UEM che opera sulla base delle garanzie fornite dai Paesi UEM in rapporto alle rispettive quote da essi versate alla BCE. L’ EFSF emette titoli che colloca sul mercato finanziario per ottenere liquidità con cui aiutare i Paesi dell’ Eurozona in difficoltà. I problemi principali sono due: in primo luogo il 35% delle garanzie è data dai Paesi UEM in difficoltà per cui esse di fatto non ammontano a 780 miliardi di euro ma a 500 miliardi e , in secondo luogo, fino ad ora sono stati già impiegati 190 miliardi di euro per Irlanda, Portogallo e per l’ultimo salvataggio della Grecia e di conseguenza per la Spagna, qualora lo richiedesse, non ci sarebbero le risorse sufficienti in caso di default. L’EFSF presenta così evidenti limiti funzionali ed inoltre gli Stati Membri che si trovassero nella necessità di chiederne l’intervento potrebbero non farlo per non agitare i mercati finanziari, rischiando un aumento dei rispettivi spread. Non sorprende quindi che fino ad ora la Spagna e l’Italia non abbiano chiesto di poter far ricorso all’ EFSF per non mettere in allarme i mercati; il rischio è che però i due Paesi compiano tal passo qualora la  loro rispettiva situazione macroeconomica volgesse al peggioramento, aumentando il rischio che i titoli emessi dal fondo non vengano collocati, rendendo ancora più drammatica la situazione.
I due aspetti considerati palesano così le fragilità dell’impianto istituzionale dell’ UEM che amplificano la poca credibilità degli operatori internazionali nei confronti della moneta unica. Approntare delle misure adeguate significa pertanto dotare l’UEM di quella coerenza necessaria per risolvere efficacemente la crisi economica in corso.

 

Ornella Orlando