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Platì : la repubblica degli altri
2 Giugno 2015

Platì: la repubblica degli altri

Quando nel 2010 il premio nobel dell’economia Amartya Sen dava alle stampe un piccolo saggio che intitolava : “la democrazia degli altri”, immaginava di rivolgersi alla cultura occidentale per infondere  in essa il dubbio sulla legittimazione universale del sistema democratico vigente.

Partendo dagli studi di John Rawls, (insigne studioso di teoria generale del diritto avente il merito di aver riveduto, dopo un ventennio, la sua primogenita “idea di giustizia”) Sen critica la convinzione che sia compito esclusivo della cultura occidentale “esportare la democrazia”.

Ma di quale concetto di democrazia si argomenta? Ad una più ponderata riflessione storica la critica di Sen è in pratica indirizzata alla democrazia quale conosciamo partorita dalla rivoluzione francese, ovvero quel sistema democratico per il quale tutti i cittadini, partecipando a libere votazioni, eleggono i propri rappresentati e per il loro tramite partecipano alle scelte di indirizzo politico dello Stato.

A fondamento di questo sistema vige ancora quel modello filosofico politico ideato da Rousseau che conosciamo come contratto sociale, per il quale ogni singolo componente della comunità aderisce alle sue leggi e per il tramite di queste esprime la propria libertà e concorre al progresso di tutti.

Ebbene in questa convinta critica alla democrazia occidentale, Sen pare aver trovato in un piccolo comune italico un fervido discepolo: Platì (RC).

Il comune calabro da circa un decennio non indice più libere elezioni e quand’anche ci si provasse,  queste vengono disertate dalla popolazione. La gestione commissariale inesorabilmente sancisce, sotto il profilo puramente politico, la rottura del patto sociale e la fine dello schema democratico.

Oggi 2 giugno, festa della Repubblica Italiana, si impone una riflessione sul disagio che lo Stato vive a Platì.

L’unica visita in loco di un Capo del Governo fu nel 1951 in persona di Alcide De Gasperi,  vi si recò a testimoniare la presenza e l’intervento dello Stato a seguito di un’alluvione; ma la frana della democrazia che attualmente lacera quel territorio viene ignorata dai rappresentati delle istituzioni di ogni livello.

Sembrerebbe che la Repubblica Italiana, aderendo alla lectio magistralis di Sen quasi abdichi alla difesa dei propri valori di libertà e giustizia, incisi nella Carta Costituzionale, aprendo le porte al relativismo delle leggi e consentendo che sul proprio territorio di quel patto sociale, consacrato dal sangue di quanti lottarono per ottenere una Repubblica democratica, si faccia lettera morta.

Questa prospettiva apre più inquietanti problematiche: uno Stato debole è incapace di difendere se stesso ed i propri consociati dalla violenza che lo aggredisca e dal degrado delle istituzioni, favorendo l’insinuarsi di spinte eversive siano di matrice criminale o politica.

Nel 1972 in un articolo dal titolo “le Radici del Terrorismo” Alfredo De Marsico metteva in guardia la pubblica opinione dalle defaillances delle istituzioni: “… lo Stato deve avere coscienza dei suoi motivi d’essere qual è, e deve tutelarli …”, avvedendoci che non tutelare il nostro sistema democratico non significa avere rispetto di una diversa idea di democrazia, ma comporta calpestare i valori di libertà e di giustizia costringendoci a porci con Agostino un emblematico quesito : “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?”

Auguri alla Repubblica Italiana!

di Luciano Colella

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